Siamo nello stabilimento più grande d’Europa, l’Ilva. Siamo in uno dei tanti reparti giganteschi della fabbrica, Acciaieria 1 reparto RH. Qui l’acciaio fuso transita per raggiungere il reparto della colata e gli operai sono chiamati a controllare la qualità della miscela. La temperatura è di 1600 gradi centigradi.
Due operai sul posto di lavoro. Il primo è un veterano, venti anni di servizio alle spalle e un carattere prepotente, di chi si è lavorato la vita ai fianchi e il poco che ha lo difende coi denti, compreso il suo piccolo desiderio: fuggire da Taranto, coi suoi figli, per non tornarci più. Il secondo è una matricola, un giovane di venticinque anni appena assunto nello stabilimento. I due potrebbero essere padre e figlio.
In questo stabilimento dal 1962 ci sono generazioni di operai che si avvicendano, si confrontano, si scontrano e si uniscono. I padri hanno fatto posto ai figli e ai nipoti senza che nulla sia intervenuto a modificare questo flusso di forza lavoro. Si sono tramandati saperi ed esperienze così come usi e abusi, leggi tacite e modi di fare. Sembra che in questo scenario nulla sia destinato a mutare, che i figli erediteranno fatica e privilegi dei padri. Ma è davvero così?
“Sono andato a parlare con gli operai. Per giorni, settimane. Solo loro potevano restituire la dimensione del dramma, di quella frattura insanabile fra salute e lavoro che si sta vivendo in maniera sempre più violenta negli ultimi mesi. Solo così ho capito che il mondo operaio non è come lo vediamo in tv, quando scorrono quelle interviste in cui sono schierati di fronte alle telecamere con gli elmetti in testa e la faccia incazzata. Non è un blocco unico di coscienze allineate su una posizione. Ho trovato invece un universo pieno di uomini soli, spesso sbandati, che non sanno esattamente cosa fare né cosa sarà di loro, che non hanno punti di riferimento, che non conoscono i loro diritti e altri pronti a inventarne di nuovi; un universo profondamente lacerato da posizioni molto distanti, fra chi medita soluzioni, chi vendette, chi rancore, chi invece non se ne frega niente come non se n’è mai fregato. Chi pensa di scappare via, chi di lottare. E’ da queste figure che sono nati i due personaggi di questa storia.“ (Gaetano Colella)
GAETANO COLELLA
Attore, regista e autore di teatro.
Dal 2009 è direttore artistico del Crest, assieme a Clara Cottino.
Vincitore del Premio Scenario 2005 con “Il deficiente”, spettacolo di cui è autore, regista e interprete, ha firmato come drammaturgo e attore gli spettacoli prodotti dal Crest “Popeye srl”, “Sonniloqui”, “Capatosta”.
Per la radio ha scritto “Cagnara sul colle”, sit-com radiofonica trasmessa da Rai Radio2 (2007).
Ha lavorato con registi della scena nazionale come Emma Dante (“Medea”, 2005), Claudio Morganti (“Riccardo III”, 2002) ed Elena Bucci e Marco Sgrosso, con i quali è vivo un sodalizio decennale: “Macbeth” (2005), “Santa Giovanna dei macelli” (2008), “La locandiera” (2009), “Svenimenti” (2014), tutti diretti dalla Bucci.
Da segnalare, la partecipazione in campo cinematografico in “Controra” di Rossella De Venuto (2013) e televisivo in “Tutta la musica del cuore” (Rai 1, 2013), “Nebbia e Delitti 3” (Rai 2, 2009), “Il commissario Zagara” (Canale 5, 2011).
ANDREA SIMONETTI
Attore e regista.
Nato a Taranto nel 1981, si diploma nel 2003 alla Scuola del Teatro Stabile di Torino.
Lavora con registi come Luca Ronconi, Massimo Castri e Maurizio Scaparro.
Interpreta “Ora e per sempre” (2003) di Vincenzo Verdecchi, “Manuale d’amore 2” (2007) di Giovanni Veronesi, “MarPiccolo” (2009) di Alessandro Di Robilant e “Black Star – Nati sotto una buona stella” (2012) di Francesco Castellani, mentre in tv fa parte del cast di “R.I.S. 2” (2003), “Distretto di polizia 8” e “Squadra antimafia”, entrambi del 2008.
Dirige il cortometraggio “Alle corde” (2013).
Attualmente, a teatro, è in scena con Gaetano Colella in “Capatosta”, produzione 2014 del Crest.